mercoledì 14 ottobre 2009

Karl vs le curve

The anorexic chicks, the model 6
They dont hold no weight with me
Well 8 or 9, well thats just fine
But I like to hold something I can see


Karl Lagerfeld attacca una rivista "Brigitte", credo tedesca, perchè ha scelto di mettere donne "normali" e non modelle sulle proprie pagine... quindi Karl (e modelle) vs donne "comuni" = madri, professioniste etc.... Godzilla contro Gamera era meglio... qui si rasenta lo squallido...

con taaaaanta taaaaanta simpatia il tipo parte all'attacco dicendo che nessuno "vuole vedere donne rotonde", (prego?? O.o Tza-Tza Gabor si starà rivoltando nella tomba - è morta vero? non è che sto facendo una gaffe tipo quella tipa con la sesta di reggiseno e la retro di cervello?? - lei che diceva "tenetevi le curve: magari sono pericolose ma nessuno le eviterà mai"...a meno di 24h devo fare un'errata corrige la frase è di Mae West)  spara a zero sulle mamme "grasse che si siedono davanti alla tv con i loro pacchetti di patatine"... che uomo di gran classe...che stile... no, non sto parlando dei suoi abiti...

ed io leggo, penso, mi rode... mi rode perchè, anche se so pensare col mio cervello, even if (a scuola mi hanno insegnato che le ripetizioni sono un errore...e se lo scrivo in un'altra lingua?) sono un essere sensiente (parrebbe), anche a me hanno fatto il lavaggio del cervello... io che quando salgo sulla bilancia spero di non vedere variazioni (in salita, sono onesta, più che in discesa), io che dentro di me gongolo quando mi dicono che sono dimagrita (e mica è detto che sia positivo), io che ho rasentato i due opposti del "problema cibo" ed ogni tanto mi ci muovo attorno... il cibo rimarrà sempre la mia maniera per manifestare malessere? ne troverò altri? no, già questo è troppo...

non lo so... fatto sta che su quel treno, mentre congelo, mentre m'innervosisco per il ritardo che si accumula, m'innervosisco con un tizio che, a guardare la foto, ormai è "congelato"  da botulino,  il cui cervello ha accumulato un ritardo tale che ormai i neuroni hanno lasciato la banchina, che probabilmente le donne non le ha mai amate particolarmente (non sono sicura, dovrei vedere qualcuno dei suoi capi per poterlo affermare con certezza), che inneggia al mondo da sogno ("Il mondo della moda è fatto di sogni ed illusioni")  dove le donne sono appendiabiti, appendiabiti che mostrano i suoi vestiti, non li indossano... perchè del resto siamo noi che portiamo i vestiti e non loro ad essere indossati da noi...

quel "mondo", come tanti altri "mondi", impongono ad ogni essere femminile su due gambe (=donna, avete presente?) di ogni età di avere un determinato fisico, essere in una determinata maniera., a saper fare ogni cosa, ad annullarsi ed al tempo stesso a muoversi a spallate... essere semplicemente PERFETTE...e per essere tali dobbiamo, soprattutto, essere "magre", fino ad affamarci... dobbiamo rientrare nei canoni, canoni stabiliti da altri...una bella pressione...

l'ultima volta che sono stata in Svezia, non ricordo se ne ho già parlato, parlavo con una parente di mio padre, la quale mi spiegava che, anche nella civilissima (dal punto nostro di vista) Svezia, le donne sono sottoposte ad una pressione sociale tale da "sfogare" questa pressione bevendo...
bevono da sole, bevono tanto, bevono per stordirsi... e così non sentirsi più inadeguate in una società che molto chiede da loro... dico loro, ma dovrei dire noi... come ci giriamo alla fine è una battaglia per l'affermazione, una battaglia per il rispetto, una battaglia...

una battaglia che per ora non ci vede vincitrici, a volte pare tanto se strappiamo un dignitoso pareggio, andando a stravolgere quello che siamo, paradossalmente il più delle volte il nostro peggior nemico siamo noi...

noi donne, tra donne, in determinati ambiti possiamo divenire spietate, mi vengono i brividi se penso alle affermazioni della responsabile dell'amministrazione in ufficio da me quando ci fu l'annuncio che una collega era incinta: "ma perchè non le annegano??". siamo ormai così abituate a fare e dare battaglia che alla fine ci facciamo battaglia tra di noi, ed è una guerra tra poveri, che non ci porterà a nulla... se non a rimanere dove siamo ora...

ma torno al signor stilista dell'inizio (io divago, perdonatemi, ma ho avuto ottimi maestri in materia), mi vien da dire "No Karlo, no Karlo io non ci kasko..." (ok, battuta fiacca), mia madre - giusto per fare un esempio a me vicino - non stava davanti alla tv col suo bel pacchetto di patatine invidiando a morte quelle poverette che "portano in giro i tuoi vestiti d'haute couture", nessuna delle mie zie lo ha fatto, nessuna di loro ne aveva il tempo... troppo impegnate a gestire figli, marito, casa e lavoro (non necessariamente in quest'ordine) per avere il tempo per farlo...

vabbuon...al solito ho messo un po' troppa confusione in questi miei pensieri, passo quindi a farvi leggere un post che ho trovato in rete che affronta meglio ed in maniera più chiara parte di quello che ho piazzato sul fuoco dei miei pensieri:



Donne alla ricerca della felicità - come decrescere, senza far danni, ed essere più felici




di Annalisa Melis
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Carriera o famiglia? Aggressività o dolcezza? La controversa società di oggi obbliga le donne ad una dolorosa scelta che, il più delle volte, comporta il sacrificio della femminilità sull’altare delle logiche del mercato. Quest’ultimo, nuovo potente padrone, ha reso la donna moderna “libera ed emancipata” ancora una volta schiava, stavolta del sistema. Spezzare le catene, tuttavia, è ancora possibile. La decrescita felice ci spiega come riuscirci…
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"Tante volte penso che se fossi nata uomo certi conflitti interni che mi rendono frustrata e ansiosa non li avrei"


Sarebbe stato meglio nascere maschio o femmina? Uguale, spesso mi rispondo.Oggi, nell’Occidente industrializzato, le disparità tra uomo e donna non sono poi così tante ed io, comunque, ho la fortuna di godere di una serie di diritti che purtroppo le mie ave non avevano e le donne di altri Paesi nel mondo non hanno tuttora.

Soprattutto abitando in una grande città, anche se fossi un uomo vivrei il malessere di sentirmi la rotella di un grande ingranaggio: la società iper-produttiva e iper-consumistica che vuole consumatori al posto di persone e che cerca di stritolare al suo passaggio tutto ciò che incontra, compresi il senso critico ed il buonsenso dei cittadini.

Poi mi fermo a considerare le vite di mia nonna o di mia madre paragonate alla mia: se loro invidiano la mia (pseudo) libertà, io invidio loro per i rapporti sociali e familiari che avevano.

Tante volte penso che se fossi nata uomo certi conflitti interni che mi rendono frustrata e ansiosa non li avrei.

Cedere a quella parte di me che vuole tranquillità, benessere ed essere mite senza dominare, o a quella che necessita di esprimere la propria personalità ed avere un posto nel mondo (e che per farlo ha bisogno di imporsi con forza)?

Tentare di fare carriera nel lavoro con lo slancio aggressivo che ciò comporta o relegare la vita professionale in secondo piano per dare spazio a famiglia e casa?

Non mi va di fare una scelta simile, ma pare che non ci siano vie di mezzo: non è possibile lavorare poco ed essere realizzati e ben pagati, né lavorare tanto ed avere comunque tempo libero per il resto. Inoltre, nei più svariati campi dell’esistenza spesso o ti imponi o vieni sottomesso.

In un mondo che vede il successo solo come raggiungimento di un’alta posizione sociale e lavorativa attraverso la competizione e l’egoismo (caratteristiche maschili!è testosterone!), come coniugare la spinta all’indipendenza e all’autorealizzazione propri di ogni persona intelligente e libera, con quella tendenza alla dolcezza, alla maternità, ai rapporti basati su dialogo e collaborazione che mi porto dentro come eredità del secolare ruolo femminile nella società?




Come coniugare il desiderio di indipendenza con l'istinto materno e la femminilità?


L’istinto, quasi biologico, di avere una famiglia e di occuparsi delle persone care mal si addice all’icona della donna di successo e si sposa malissimo anche con la figura di una modesta, e un po' “sfigata”, lavoratrice urbana…Cosa fa, infatti, una donna “cittadina” oggi? Esacerba il suo lato maschile.

Gareggia, compete, entra in guerra con la schiera di concorrenti che aspettano un lavoro e, una volta ottenuto, si fa in quattro per tenerselo, magari accettando di fare straordinari massacranti, sopportando umiliazioni o schiacciando cinicamente gli avversari nella scalata sociale.

La donna cittadina non ha tempo per sé, vive in mezzo al cemento ed è costretta ad acquistare qualsiasi bene e a demandare ad altri qualsiasi servizio sociale (compresa la cura dei bimbi di pochi mesi!) perché non sa più come e quando farlo (ma più lavora o ha successo e più ha soldi per delegare, che bello!).

Ogni lei, nella nevrosi della disumanizzazione degli abitanti di una grande città, ha paura del prossimo e non si fida di nessuno… Cosa c'è di femminile in tutto questo?

Ah no, scusate, dimenticavo il venerdì ed il sabato sera.

Le ragazze, il fine settimana, possono uscire con i propri amici (se sono riuscite in questo caos a mantenerne qualcuno) per “liberarsi dallo stress” fumando, bevendo, spendendo soldi in locali alla moda e vestendosi in modo provocante per dimostrare così la propria femminilità!

E consumare, consumare... anche il sesso.

Un’adulta, invece, nel tempo libero può accompagnare i figli ai vari corsi di piscina, danza, inglese, karate, calcio, pallavolo oppure fare shopping, andare dalla parrucchiera, dall’estetista… tutta qui la femminilità.

Ancora una volta consumare, consumare, consumare.

Per un’anziana, poi, non c'è proprio verso. In pensione, prende una miseria; ha tempo, ma non serve più a questa società e se non ha dei parenti particolarmente caritatevoli, ciò che l'aspetta è la solitudine e spesso la povertà.



Cosa fa una donna “cittadina” oggi? Esacerba il suo lato maschile


Mentre io vivo questa situazione come fonte di enormi conflitti interiori, qualcun’altra invece è felice della propria vita. Tuttavia, il risultato di una società dove la donna ha guadagnato tanti diritti ma ha perso la possibilità (e a volte anche la volontà) di esprimere il proprio essere femminile, è un mondo solo maschile, duro, incompleto e che, anche per questo motivo, non può produrre individui sani. Basta accendere la televisione per rendersi conto della deriva culturale e sociale dell’ "Occidente": dalla degenerazione degli adolescenti, alla donna-oggetto proposta, fino alla gestione pazza e criminale della Terra e dei suoi abitanti da parte dell’elite maschile al potere.

Quando ho letto il libro di Maurizio Pallante, La decrescita felice, ho potuto con commozione trovare i miei stessi dubbi e pensieri nel capitolo in cui parla di donne e famiglie urbane.

Cosa c'entra la decrescita? C’entra parecchio! “Decrescere” vuol dire rallentare, consumare di meno, vivere di più, dedicarsi a ciò che si ama, ritrovare la convivialità nei rapporti con gli altri.

Non possiamo più permetterci di continuare nella corsa sfrenata ad una crescita che non abbiamo idea di dove voglia arrivare. Le risorse non sono illimitate: dobbiamo capirlo e farne un uso più sobrio. Il bello, però, è che così facendo recupereremmo di nuovo degli spazi per noi! Spazi per fare e per pensare.

Tutto ciò non vuol dire riproporre schemi del passato, ma recuperare ciò che di buono abbiamo voluto abbandonare in nome di una innovazione totale.

Tra le vittime del progresso vi è, ad esempio, la famiglia allargata.

Questa è morta con le industrie ed il capitalismo che, avendo bisogno di sempre più braccia a buon mercato per produrre, hanno sfruttato la voglia delle donne di uscire dal controllo di un padre o marito “padrone” per dar loro un posto nel grande mondo del lavoro.

Eccole così risucchiate nel girone infernale dei lunghi orari lavorativi, catapultate in città brulicanti di sconosciuti e strappate via al lavoro nei campi e alla loro vita domestica fatta in una grande casa condivisa con la famiglia allargata.




Tra le vittime della società della crescita sfrenata vi è la famiglia allargata


Eppure questo modello familiare aveva una sua funzionalità ed economia. Gli anziani si occupavano di varie cose tra cui la cura dei bambini mentre i genitori adulti erano occupati in altre attività. In passato quelli che oggi vengono chiamati “vecchi” erano considerati, data la lunga esperienza di vita, saggi consiglieri e la preziosa memoria della famiglia. Adesso li rinchiudiamo in ospizi o li abbandoniamo alla povertà solitaria.

I bambini, dopo la scuola, vivevano nel loro nucleo familiare e non venivano parcheggiati per la gran parte della giornata in asili o affidati a baby-sitter.

Perché adesso dobbiamo lavorare, lavorare e ancora lavorare per pagare l'ospizio, l'infermiere, l'asilo, la baby-sitter? Che senso ha?

Prima ci si prendeva cura uno dell'altro, a turno, in un ciclo del tutto naturale.

C'e' chi giustamente controbatte che una famiglia allargata comportava una gestione patriarcale dell'esistenza, con tutte le restrizioni che ne derivano soprattutto alle donne. Queste, oggi, possono avere una cultura e un loro stipendio per non dover più dipendere dagli uomini della famiglia: ciò è senza dubbio un traguardo importantissimo.

Sì, è vero, Non c'è più il padre-padrone, ma pensateci bene. C'è la dipendenza totale da un padrone diverso: il mercato. È questo a decidere quanto vali, quanto puoi guadagnare, comprare e lavorare per pagare cose che prima facevi da sola o tramite la tua famiglia allargata o ancora attraverso la cerchia femminile di solidarietà e mutuo aiuto che esisteva.

Ma davvero questa è libertà? Non avere nessuno che ti aiuta o ti consiglia nelle faccende domestiche e nell'allevamento dei figli? Essere costretta ad abbandonare i bambini in un asilo nido a pagamento con sconosciuti quando hanno appena sei mesi? Rubare solo minuscoli ritagli di tempo per dedicarli a ciò che realmente ami? Dover fare un lavoro spiacevole e competitivo per campare? Davvero la gestione allargata di una casa, di un giardino, della famiglia, era così male?

La chiusura degli individui in singole casette isolate da tutto il resto non può essere considerato un miglioramento rispetto al passato.

Si può provare a pensare a modi alternativi e meno soffocanti di vivere con gli altri per aiutarsi; se tutti lavoriamo un po' di meno possiamo avere tempo per autoprodurre molte cose che ci servono e farle con gioia insieme e per i nostri simili!

Non avremmo più bisogno di vendere tutto il nostro tempo ad aziende e multinazionali e quindi basterebbero meno soldi.




La vera libertà le donne l'avranno solo quando riusciranno ad esprimere la propria femminilità senza per questo dover assomigliare agli uomini


Il tessuto sociale, tanto prezioso da sempre per tutti e soprattutto per le donne e i bambini, e' stato completamente smantellato ed in cambio abbiamo avuto un contentino di finta indipendenza (dipendiamo dal mercato!) e di beni materiali per la maggior parte inutili e inquinanti.E c’è un’altra cosa terribile che è stata fatta alle donne: convincerle che per avere posto nella società debbano dimostrare di essere brave quanto gli uomini e così diventare simili a loro, senza dare nessun riconoscimento alle loro specificità intrinseche. L’alternativa è quella di rinunciare all’ autorealizzazione o all’ indipendenza.

La vera libertà le donne l'avranno solo quando riusciranno ad esprimere la propria femminilità senza per questo dover assomigliare agli uomini; quando avranno modo di dedicarsi ai loro figli, alle persone care, ai loro interessi e attività senza per questo dipendere ed essere ricattate da nessuno; quando potranno esprimere se stesse nella loro vera natura, sostenute da una comunità solidale di donne e uomini che comprende l'importanza del compito sublime che madre natura ha dato loro e delle bellissime qualità connesse con l’essere donna.

Sono convinta che sia l’unione di individui diversi a fare la forza, e non l’omologazione di essi.

Allora perché non iniziamo noi, singoli individui sperduti, a costruirci il nostro tessuto sociale, la nostra famiglia allargata (riveduta e corretta!)? Con parenti, amici, vicini di casa? Spezziamo questa solitudine e proviamo a fare qualcosa per gli altri e ad accettare ciò che ci daranno in dono.

Costituiamo dei Gas, mettiamo a disposizione il nostro tempo libero per prenderci cura di nonni, bambini, orti, cibo, fonti energetiche e qualsiasi altra cosa sappiamo ancora fare o impareremo a fare!

Avremmo tutti meno bisogno di acquistare molte cose e potremmo lavorare sempre di meno ed ecco così che ritroveremmo il tempo per vivere che ci e' stato sottratto… e forse anche una nuova dignità!


2 commenti:

  1. Lagerfeld difende la sua categoria, anche se il botulino ormai gli avrà imballato il cervello, credo che sia ancora abbastanza paraculo per tirare l'acqua al suo mulino...
    Il punto è che la moda (così come la televisione, il jet-set etc etc
    e ci metterei anche la pornografia, perchè no) ci vendono come normali cose, "mondi" che normali non sono.
    Nel caso del cinema il trucco è palese, sai che davanti agli occhi hai una fiction, una storia, una favola...ma ti sei mai chiesta perchè ora va tanto di moda il reality? (di moda...vedi come la moda si impone e basta e non si "discute" col pubblico?)
    Questo confine deve essere sempre più sfumato...e quindi vedi i VIPs (che poi alla fine la maggior parte delle volte hanno solo la nomea da VIP ma sono dei poveracci che devono prostituirsi per campare del loro -inesistente- talento) calati in situazioni "normali"...oppure gente normale calata in situazioni straordinarie (GF su tutti) Quindi il consumatore non solo deve adorare quel mondo...per consumare deve pensarlo anche a portata di mano.
    Pensa quindi che tragedia (per loro!) se il mondo della modelle diventasse normale: diventerebbe umana anche la moda e tutto ciò che ne consegue...e quindi addio anche vita da nababbi e guadagni paranormali x gli stilisti.
    Proprio stamattina pensavo che forse non è un caso che alcuni marchi che stanno riscuotendo consensi come Mango e Disegual vengano dalla Spagna, un paese che per quanto riguarda certi modi di pensare ha preso una direzione opposta alla nostra; insomma non spendi 10 euro ma nemmeno 100, e ti porti a casa comunque una cosa di marca, invece da noi sembra che si debba desiderare solo la roba firmata. Costosa...e il più delle volte straordinariamente anonima, guarda D&G, CK...troneggia il marchio, il resto è B/N...fantasia bandita, i colori pure (per questo odio quella roba...)
    Vabbè scusa, ho degenerando! :) Sono d'accordo che bisogna partire da se stessi (as usual...) e combattere quella tendenza innata femminile allo specchio deformante - specchio, specchio delle mie brame...chi è la più buzzicona del reame?? IO???? :'((( - che forse trova il suo corrispettivo maschile nella "sindrome da spogliatoio". Noi ci si preoccupa tanto della nostra virilità, voi della vostra silhouette...eppure la nuda realtà è che se piacciamo agli altri, gli piacciamo così come siamo. Il giudice più severo resta il superio, ed è su quello che  fanno leva gli addormentatori di masse!

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  2. @Jar: oh my...un post nel post... mi piace quanto hai scritto, molto più profondo ed analitico di quanto io non sia riuscita a scrivere!!

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